
Io resto a casa: perché mi sono fermato per bloccare il covid19
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In questi giorni restare a casa non è semplice per nessuno ma è necessario, di estrema importanza. Io resto a casa è diventata una frase simbolo di messaggi WhatsApp e condivisioni social ma in verità non è solo un hashtag utilizzato per fare community e condivisione. Io resto a casa è il simbolo del nostro senso di responsabilità etica, il desiderio di volerci bene, l’attaccamento alla vita.
È successo tutto così all’improvviso che le persone non erano preparate a gestire le emozioni legate a una improvvisa minaccia vicina e reale. Pochi giorni prima erano solo notizie su un nuovo virus in Cina e qui da noi si pensava al carnevale. Non abbiamo avuto tempo o forse l’abbiamo avuto, ma non era facile reagire rapidamente ad un cambiamento così radicale del nostro vivere quotidiano. Da un mese il nord d’Italia e da una settimana tutte le regioni della Penisola sono entrate a far parte di un allarme che è entrato dentro le case e nella testa delle persone, per urlare a gran voce un pericolo per la nostra salute, mai vissuto prima. Sono arrivati i decreti sempre più stringenti, l’Italia è diventata zona rossa; l’Italia ha capito che era arrivato il momento di fermarsi.
Che cosa è scattato nella mente delle persone
È difficile immaginare una situazione come quella che stiamo vivendo in questi giorni ed è per questo che, impreparate e impaurite, molte persone hanno avuto una reazione a caldo, dettata dalle loro emozioni. Hanno deciso inconsciamente di scacciare via la paura negando l’evidenza, non accettando la realtà.
È solo un’influenza.
Colpisce solo chi ha patologie gravi.
Ne stanno facendo un dramma.
Hanno creato un allarmismo inutile.
Per molti è stata una reazione di difesa, hanno chiuso gli occhi per non soffrire, per non farsi prendere da un’ansia indomabile. Le persone non erano preparate a gestire un’emergenza ma soprattutto non erano a pronte a cambiare le loro abitudini.
Che cosa è accaduto nella realtà
Ho parlato di emergenza perché alla fine è questo ciò che è accaduto. Un’emergenza sanitaria senza altri confronti, che verrà riportata sui libri di storia. È un’emergenza medica che coinvolge la comunità intera, non solo il singolo. Che riguarda tutti perché ci troviamo di fronte a un virus di cui si conosce poco, in cui a oggi non c’è un vaccino, pericoloso per chi ha patologie e non è in perfetta salute ma che ha portato in rianimazione anche pazienti sani.
Io resto a casa: perché da medico ho chiuso i miei studi
Da medico che oggi lavora in studi privati, ma che in passato ha lavorato in ospedale, da persona che ha rispetto della vita umana, anche di chi non conosco, ho deciso di chiudere i miei studi e fermarmi. Ho sospeso la mia attività per dare un messaggio forte al territorio in cui opero e far capire nel mio piccolo che ognuno di noi, se vuole, può fare la differenza.
In questo momento è più importante mettere in prima linea l’interesse comune rispetto al proprio per evitare che comportamenti egoistici possano rendere troppo rapida la diffusione del contagio.
Ho chiuso gli studi prima che arrivasse un decreto ministeriale. Ho interrotto le visite ortopediche e gli interventi programmati, perché anche se sono tutti servizi importanti, si possono comunque posticipare a un altro momento. Ai miei pazienti ho spiegato che ora bisogna evitare che si ammalino troppe persone contemporaneamente, perché questo metterebbe in difficoltà medici e operatori sanitari nell’erogazione delle cure necessarie. Non tutti purtroppo ancora hanno ben chiara la situazione, non tutti hanno capito che su 100 contagiati, circa 10 hanno bisogno di cure intensive. Per questo limitare la rapidità della diffusione è l’arma più efficace per consentire ai medici e agli operatori sanitari di curare nei prossimi mesi tutti coloro che ne avranno bisogno al meglio delle possibilità che oggi offre la medicina moderna.
Io resto a casa: insieme possiamo farcela!
Sì, è proprio così. Insieme possiamo farcela. Possiamo diminuire il contagio e poi eliminarlo del tutto come ha fatto la comunità cinese, che ha pensato all’unità e al bene del popolo. Possiamo vincere questa battaglia, sentirci più deboli alla fine di questo brutto incubo, ma anche pronti a ricominciare, ognuno nel nostro piccolo e con le nostre possibilità.
Sono vicino con tutto il cuore a tutti i colleghi che in tutte le parti d’Italia in questo momento sono chiamati a fare uno sforzo maggiore del mio. A tutti i medici libero professionisti e agli operatori sanitari privati, chiedo con amicizia e sincerità di evitare ogni attività a contatto con l’altro che non sia urgente.
Avremo tempo per recuperare quello che si doveva fare oggi. In questo momento serve che ognuno, nel nostro piccolo, faccia la differenza. Quindi, tutti insieme, blocchiamo la diffusione del virus e sentiamo dentro il cuore il desiderio di restare a casa.

Dott. Raffaele Pezzella
Mi chiamo Raffaele Pezzella e sono medico ortopedico bravo a capire le persone. Sono specializzato nella chirurgia artroscopica della spalla e del ginocchio e nella chirurgia protesica di ginocchio, spalla e anca.
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